venerdì 24 ottobre 2014

La Giraffa e la Bestia, seconda parte

Eccolo lì Nick, prende la pallina, piega il braccio armato chinandosi verso il terreno, guarda Nadal e dunque il cielo, l'altra mano ormai fissa alla volta celeste e la sferetta già posta là, esattamente là dove la racchetta sta per coglierla con inaudita violenza: non mentre sale, non mentre scende, ma in quell'attimo eternante di stasi. D'un tratto il corpo esteso si raccoglie incartato, la pallina già sulla riga, già oltre Rafael Nadal. Questo avviene sul campo centrale di Wimbledon, è pomeriggio, il sole inizia a bollire i due tennisti. Ne avranno per molto.

L'africanoide bendaggio elastico di Kyrgios nella partita contro Nadal

mercoledì 20 agosto 2014

Introduzione al tennis epifenomenico (la Giraffa e la Bestia, prima parte)

Una tennistica menzogna viene perpetrata senza vergogna dai giornalisti del globo intero, e cioè la presunta dualità tecnico-psicologica degli incontri. A questa asserzione sommate il luogo comune che inquadra questo sport come il più dispendioso dal “punto di vista mentale” - concetto semplice ma arduo da contraddire, in effetti – e la derivante convinzione dello spettatore medio è che si giochi una partita contemporaneamente su due piani distinti, quello materiale e quello astratto. Può essere una dicotomia utile per approcciarsi al tennis, funzionale a seguirlo, ma è a dir poco riduttiva per descriverlo e narrarlo per come è. Del resto, se la concezione dominante del pubblico è quella appena detta, di certo non lo è anche la percezione dell'evento: a chiunque abbia visto più di dieci partite penso sia chiaro che su quel campo si scatenino forze devastanti, e che ci sia in gioco molto più che una vittoria: un top-100 si batte palesando il proprio passato, il proprio credo e, in generale, la propria stessa identità. Perché se è vero che il “livello mentale” conta anche nelle partite all'oratorio, in cui i giocatori sono concentrarti sul tennis solo ed esclusivamente durante quei novanta minuti, per un atleta come Nadal perdere equivale ad annichilirsi. A fallire nella vita. A essere spaghettificato da un buco nero. Qualche giorno fa ha dichiarato che per lui “c'è molto altro dopo il tennis”, ma stava evidentemente mentendo. Ho preso Rafael come esempio perché, a mio parere, è quello che più di tutti, almeno in tempi recenti, ha fatto coincidere la propria vita - intesa come obbiettivi, soddisfazioni e investimento temporale - col proprio tennis. Ma, al di là della concatenazione tra le forze sprigionate durante una partita (ci arriveremo tra poco) la grande menzogna citata inizialmente si rivela tale perché i due piani tecnico-mentali non possono, e non potranno mai, essere scissi. Ogni backspin è una tacita frase sibillina, ogni topspin profondo è una provocazione, un “come on” piazzato per andare a palla break vale tre colpi vincenti, una serie di recuperi stoici – vadano o non vadano a buon fine – dichiarano stentorea resistenza. Quando delle corde accarezzano una pallina le trasferiscono la vita del tennista, il suo gioco, le sue attuali intenzioni e il momentaneo stato mentale: mentre la sfera transita per aria si porta appresso un ecosistema di sensazioni e provocazioni, a cui l'altro atleta è chiamato a rispondere - mettendosi egualmente a nudo.

Dopo la finale di Wimbledon 2007, vinta da Federer al quinto set, Nadal ha pianto a lungo e persino vomitato, e si è isolato per giorni, al punto da non intravedere futuro davanti a sé (come potete apprendere da "Rafa", la sua autobiografia, che purtroppo non ha grosso valore letterario).

lunedì 11 agosto 2014

Osservando la luce divina, o forse un semplice neon.

Il tempo a mia disposizione è scarso, e dedicarmi alla scrittura di un blog tematico non era, e non è, un'ottima idea. In effetti non so per quanto durerà, né con quale frequenza verrà aggiornato. Molto semplicemente, ho avvertito la necessità di scrivere qualcosa sullo sport; non qualcosa in generale ma, come facilmente si può intuire dal titolo del sito, qualcosa riguardante Nick Kyrgios. Per parlarne nel dettaglio, a livello tecnico e non, sempre che questo diario prenda vita e forma, ci sarà tempo. Al momento mi interessa illustrare i principali motivi per cui ho intrapreso quest'avventura, che di prospettive utili, a livello monetario e lavorativo, ne ha veramente poche. Anzi, non ne ha affatto.

Nick Kyrgios a quattro anni, paffuto e deciso: una foto che vale più di un intero libro motivazionale.