Alzare uno strambo trofeo a forma di
pera, con un sombrero in testa, è l'atto che conclude la miglior
settimana tennistica di Nick Kyrgios. Una vittoria contro Nadal lo aveva presentato al mondo del tennis che conta, una vittoria contro Nadal lo resuscita, e dà qualche speranza al suo futuro sportivo.
Una settimana come questa gli serviva proprio, perché Kyrgios aveva
iniziato a perdere le speranze: il 2018, tolto il primo mese col
trionfo a Brisbane e un buon Australian Open – in cui è stato
fermato solamente da un grande Dimitrov, alla sua miglior partita
stagionale – è stato un anno disastroso, segnato da eliminazioni
precoci, partite svogliate, scarsi risultati e infortuni in sequenza
(anca e gomito). L'eliminazione al primo turno degli Australian Open
2019, per mano di Raonic, sembrava aver definitivamente oscurato la
stella di Kyrgios; e invece, ancora una volta, si è ritrovato quando
tutto sembrava perduto. Tanti meriti vanno attribuiti ad Ashcon
Rezazadeh, il britannico/iraniano coetaneo di Nick, ora suo
preparatore, che da qualche mese – finalmente – è riuscito a
farlo lavorare in palestra. E a motivarlo, perché è anche il suo
mental coach. Tuttavia nemmeno lui, forse nemmeno i suoi parenti, e
sicuramente nemmeno Nick stesso, avrebbe immaginato che, entrando ad
Acapulco da numero 72 del mondo (peggior classifica da Wimbledon
2014), sarebbe uscito vincitore dal torneo.
Nick Kyrgios col suo quinto trofeo ATP, il più importante finora: sì, una pera. |
Kyrgios si è presentato
sorprendentemente voglioso e in forma contro Seppi, vincendo il primo
set con doppio break 6-3, issandosi 4-1 nel secondo. Da lì, al
solito, ha iniziato a parlare da solo, a non mettere più prime di
servizio, a sbagliare e claudicare per il campo. Tutto ciò fino al 5
pari, quando Seppi sembrava ormai in grado di girare la partita; ed è
probabile che, andando al terzo, avrebbe poi vinto il match. Tuttavia
Nick è riuscito a ritrovare la concentrazione, ha giocato un grande
game di risposta, e ha chiuso l'incontro 7-5. Nella conferenza post
partita un giornalista gli ha chiesto come mai fosse entrato così
concentrato contro Seppi (e già la domanda esplicita personaggio e
contesto), Kyrgios ha risposto che aveva notato Nadal nel tabellone.
La partita successiva, di notte, sul centrale, giocata con delle
fasciature sotto entrambe le ginocchia, è quella che –
potenzialmente – potrebbe girare la stagione dell'australiano. Il
primo set è stato a senso unico, con un prevedibile dominio iberico,
con Nick stordito e con sintomi associabili al post-sbornia tra primo
e secondo set, in cui ha chiesto il primo (dei tanti) medical time
out. Per qualche strano miracolo, e attraverso erculei servizi, è
riuscito a non perdere mai la battuta, a raggiungere il tie-break, e
a vincerlo senza troppe difficoltà. Nel frattempo Nadal si stava
innervosendo sempre di più, e il pubblico era sempre più schierato
dalla sua parte, sempre pronto a fischiare Kyrgios e i suoi
atteggiamenti ritenuti provocatori. Kyrgios e Nadal sono persone agli
antipodi: per creatività e serietà, soprattutto. Kyrgios odia la
terra rossa, perché “quello non è tennis” e “mi si sporcano
le scarpe”. Kyrgios batte velocissimo, Nadal si spulcia prima di
ogni punto, si sistema i calzoncini, le mutande, ha il suo rito
seriale da ossessivo compulsivo prima di ogni-singolo-servizio. Tutto
ciò, assieme alle pazzie di Kyrgios, alle sue palle corte, alle sue
bordate, ai suoi medical time out, al tentato servizio dal basso
(irriverente ma tatticamente sensato), ha portato Rafa ai limiti
della tolleranza. Va detto tuttavia che, in termini di regolamento,
la ragione sta dalla parte dell'australiano: è chi riceve a doversi
adattare a chi batte, non il contrario, e se Nick non può lamentarsi
dei tic di Nadal, Nadal non può lamentarsi della velocità di
Kyrgios. Cosa che invece ha fatto, e spesso ha avuto l'appoggio
dell'arbitro, che ha annullato alcuni servizi vincenti perché lo
spagnolo non era pronto. Ma torniamo alla partita: anche al terzo set
si arriva al tie-break. Il pubblico è schieratissimo, vuole la testa
di Kyrgios, il clima è più da Bombonera che da Wimbledon: miracoli
sudamericani. Nadal va 6-3: tre match point consecutivi. Quello che
succede da qui in poi appartiene più al regno della follia che a
quello del tennis, e a Nadal follia e imprevedibilità non piacciono
affatto. Kyrgios va 6-4 con una meravigliosa palla corta eseguita
saltando. Poi realizza un ace. Che però viene annullato, perché
Nadal non era pronto a ricevere. Kyrgios litiga con l'arbitro, il
pubblico ulula, Nadal fissa la scena immaginandosi Minosse. Si
ribatte la prima: rete. Kyrgios, cosa che personalmente non avevo mai
visto, cambia racchetta tra prima e seconda: se avessero dei
pomodori, dalla tribuna li lancerebbero volentieri. Nick mette in
campo la pallina, Nadal grugnisce e ribatte, l'australiano scende a
rete, Rafa passa, Nick esegue una volée di rovescio che bacia il
nastro e finisce sulla riga. 6-5. Nadal ha il primo match point sul
proprio servizio, ma Kyrgios riesce a rispondere, anche Rafa prende
il nastro, Nick scende a rete e tira una bordata verso l'angolo del
maiorchino, che per qualche centrimetro non riesce a colpire la
linea. Sul 6-6, snervato, stordito e incredulo, col pubblico così
concentrato a fischiare Kyrgios da destabilizzare il proprio
prediletto, Nadal concede un doppio fallo. Match point Kyrgios. Un
buon servizio, seguito da un grande dritto: Rafa ci arriva ma non
tiene la palla in campo. L'esultanza è smodata e selvaggia, tanto da
generare epifanie mcenroeniane; tra fischi assordanti Rafa stringe
appena la mano del rivale, rifiuta l'abbraccio, Kyrgios gira su
stesso a 360° mostrando le orecchie al pubblico. Nel post-partita le
polemiche non finiscono, Nadal dice che “non ha rispetto per
l'avversario, né per il pubblico, né per sé stesso”. Kyrgios si
limita a rispondere che “non mi conosce, non sa il mio percorso, io
ho il mio gioco e lui il suo”. Su Instagram ribadisce il concetto,
aggiunge che quando vede Nadal “sente l'odore del sangue”,
correda il testo con le icone di un fantasma e di una siringa - la
cui interpretazione lascio volentieri a voi.
I fischi dello stadio, il dissenso,
piuttosto che dissuaderlo, esaltano Kyrgios, che il giorno dopo gioca
una grande partita contro un altro plurivincitore slam, Stan Wawrinka
(si, quello a cui aveva comunicato che un suo amico gli aveva
bombato/sfondato la ragazza). Vince il primo set, perde ingenuamente
il tie-break del secondo, e nel terzo, apparentemente più morto che
vivo, tanto che Wawrinka gli chiede accertamenti sullo stato di
salute, riesce a conquistare un break e a mantenerlo fino alla fine,
a suon di servizi. Prima di vincere, mentre fa stretching sollevando
la gamba dolente, trova il modo di urlare un potentissimo “FUCK
YOU!” ai gentili, e fischianti, signori in tribuna. Ormai è guerra
aperta, la semifinale si gioca col suo amico Isner. Kyrgios è
cambiato rispetto ai primi turni; ha tolto le fasciature, è più
sicuro di sé, alle genialità non alterna le abituali idiozie (tipo
simulare la masturbazione in campo, con una bottiglietta d'acqua...
fatto avvenuto al Queen's 2018 contro Cilic). Si dice esaltato di
giocare contro Isner perché “contro di lui si corre poco”. Nel
primo set si guadagna una palla break – cosa molto rara contro
l'americano – e prima di rispondere, in seguito all'urlo di un
tifoso messicano di Nadal, ancora avvelenato, Nick chiede a voce alta
“dove sono finiti i tifosi di Nadal? Hey, dove siete? Avete già
preso l'aereo per Indian Wells?”. Fischi, una corrida, ma Kyrgios
ottiene il break e vince il primo set, per poi perdere il secondo,
per poi raggiungere, senza troppa fatica, il tie-break del terzo. Non
trasforma un primo match point, ne ha un secondo sull'8-7, servizio
Isner. Risponde bene, poi attacca, l'americano replica con un gran
rovescio ma Nick, sfoggiando il suo prodigioso talento, gioca un
rovescio a due mani, di controbalzo, con la pallina tra i piedi: la
sfera atterra appena al di là della rete, l'altissimo e sgraziato
John non ci arriva. I due si abbracciano, la gente fischia, Kyrgios è
in finale.
A questo punto Nick ha già battuto due
top ten, due pluricampioni slam, ma per alzare il trofeo deve
affrontare il numero tre del mondo, quello considerato da tutti
l'erede al trono, Alexander Zverev, più giovane di lui di due anni
(head to head prima della partita: tre vittorie a testa). Banale a
dirsi ma efficace per spiegarsi, il secchione della classe contro il
genietto svogliato. La partita è tesa, combattuta: da fondo Zverev è
più solido, Kyrgios ha un servizio migliore, tuttavia non riesce a
vincere agevolmente alcun turno di battuta. Nick comunque si mantiene
sempre avanti, grazie all'utilizzo virtuoso delle palle corte: ne
gioca tante, tantissime, la maggior parte delle quali vincenti. A
fine match, quando il giornalista gli chiede se era un preciso piano
tattico, lui risponde che “no, le faccio perché non ho voglia di
scambiare, a volte va bene a volte va male” (boiate, ovviamente).
Zverev soffre il carisma di Kyrgios, il match sembra possa andare
dalla sua parte solo in un momento, quando a inizio secondo set
recupera un break di svantaggio, tiene agevolmente il servizio, e si
issa 15-40 nel game successivo. Nick annulla la prima palla break con
un buon attacco, la seconda con una delle deliziose palle corte che
hanno segnato l'incontro; un colpo che replica subito dopo per
procurarsi il vantaggio, e infine tiene il servizio con una battuta
vincente. Il game decisivo è quello successivo: quando Zverev tenta
di combattere l'estro con l'estro, tutelato da un 40-0 a suo favore,
Kyrgios lo punisce con un no-look e una volée vincente. Sembra un
punto bello ma innocuo, invece l'australiano si porta sul 40 pari, si
conquista una prima palla break – poi annullata - con un altro drop
shot perfetto (e successivo pallonetto), una seconda con un grande
rovescio a uscire in risposta, occasione che converte sfruttando
l'unico grosso limite di Zverev, le volée: il tedesco tiene viva la
pallina, ma il tocco è innocuo e a metà campo, Kyrgios lo passa
senza troppi problemi. Il game susseguente è l'ultimo in cui Zverev
ottiene palle break: dopo uno scivolone di Nick si erge 15-40. Ma da
qui in poi sul servizio dell'australiano non si gioca quasi più:
quattro grandi battute, e va 4-2. Sul 5-4, servendo per il match,
avanti 30-15, Kyrgios regala un'ultima magia: tira una coraggiosa,
folle seconda di servizio, talmente ricca di effetto da scavalcare
Zverev (che è alto più di due metri). Il match point è,
prevedibilmente, un servizio vincente. Questa vittoria messicana è
la più importante della carriera di Kyrgios, perché lo rialza da un
inabissamento che pareva irreversibile, perché nonostante valga
“solamente” 500 punti, per la caratura degli avversari
incontrati, è paragonabile a un Master 1000. È una vittoria che non
risolve niente e non rivoluziona nulla. Zverev durante la premiazione
fa notare che “ora è arrivato il momento in cui dovrei ringraziare
il tuo team, ma ci sono solamente due persone, e non so nemmeno che
lavoro facciano di preciso!”. Tutti ridono, Kyrgios compreso, che
in fondo ama il suo personaggio, non a caso sottolinea che “d'ora
in poi devo comportarmi meglio, essere più serio. Ho vinto, ma non
ho nemmeno un allenatore, potrei iniziare da lì”. Poi, quando il
commentatore gli chiede se intravede un futuro da top 10, lui ci
tiene a precisare che “be', non faccio le cose come si dovrebbero
fare, quattro ore prima di questa finale sono andato a fare Jet Ski
(evoluzioni con le moto d'acqua), che immagino non sia il modo in cui
si prepara a una partita così un top 10”. Questa vittoria tuttavia
qualche merito lo ha. Prima di tutto restituisce al mondo del tennis
un giocatore che sembrava stesse tramontando. In seconda istanza, e
soprattutto, palesa quanto serva Kyrgios al suo sport (checché se ne
legga in giro, anche le polemiche fanno bene, e di istrioni ne
mancano da troppo tempo), e quanto sia eccezionale il suo talento:
abbiamo assistito a una settimana di accelerazioni incredibili,
servizi vincenti, palle corte, colpi di controbalzo, volée... litigi
con pubblico e avversari. Dalla prossima settimana Kyrgios tornerà
numero 33 del mondo, e nei prossimi tre mesi non ha praticamente
punti da difendere. Non ha ancora ventiquattro anni: forse la stampa
lo ha seppellito troppo presto. E anche avessero ragione loro, e
qualche dubbio a riguardo esiste, comunque tra qualche anno potremo
dire: ti ricordi quella settimana di Kyrgios?
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