sabato 25 gennaio 2020

L'ultimo degli australiani

Nell'ultimo mese gli incendi hanno devastato l'Australia, ardendo un quantitativo di alberi difficilmente immaginabile, superiore – a quanto pare – ai roghi di Amazzonia e Siberia (2019) messi assieme. Sembra addirittura che esista una pianta endogena, una sorta di fenice vegetale, che sia altamente infiammabile, e allo stesso tempo contenga dei semi ignifughi: in pratica, prospera attraverso gli incendi. Sarebbero morti un miliardo di animali. L'aria di Canberra, città natale di Kyrgios, in questo periodo è risultata la più inquinata del pianeta terra. A dicembre 2019 Nick è stato votato dai suoi connazionali come secondo atleta più odiato del decennio: a superarlo il solo Oscar Pistorius, che è riuscito nell'impresa ammazzando a fucilate l'ex-fidanzata, scambiata (secondo lui) per un ladro. Le bravate di Kyrgios, al suo confronto, niente hanno potuto. Nick viene da una molta record di (circa) 150.000 dollari, ricevuta a Cincinnati, che ha generato anche una sospensione di sei mesi, sospensione a sua volta sospesa, in attesa che Kyrgios (eventualmente) si ricomporti male durante le prossime venti settimane. La pena è stata elargita perché Nick ha tirato una bottiglia contro lo scranno dell'arbitro (“mi è sfuggita di mano”), ed è andato a spaccare due racchette in un corridoio durante il toilet break (che non ha contemplato alcun “toilet”) alla fine del secondo set, sull'1-1. Mentalmente non sarebbe più rientrato in campo, e avrebbe perso facilmente quella partita. Il suo avversario era Karen Kachanov. Lo stesso che ha sfidato al terzo turno degli Australian Open 2020.

Kyrgios, esausto, mai così felice di aver vinto una partita di tennis.
Mosso dalla drammatica situazione, Kyrgios, in procinto di partecipare all'ATP Cup, annuncia l'intenzione di donare 200 dollari per ogni ace scagliato durante l'estate australiana; impiega poco tempo a racimolare seguaci. Innanzitutto la federazione nazionale, che decide anch'essa di elargire 100 euro per ogni ace di Kyrgios, e in più, assieme a lui, organizza un evento benefico con Federer, Nadal e altre celebrità, appena prima dell'inizio degli Australian Open. Tutti i suoi connazionali seguono l'iniziativa, compreso De Minaur, che proprio assieme a Kyrgios riesce a portare l'Australia alle semifinali dell'ATP Cup, dove viene fermata dalla Spagna: per questioni di ranking, in quell'occasione, non è possibile assistere alla sfida che tutti vorrebbero: Kyrgios-Nadal. La coppa e l'iniziativa benefica comunque rilanciano, almeno parzialmente, l'immagine di Nick in terra australe (anche grazie alla splendida vittoria contro Tsitsipas, recente vincitore delle ATP Finals). C'è la sensazione che sia davvero intenzionato a prendere seriamente il tennis, almeno per una volta. Che voglia regalare un po' di gioia alla sua terra devastata. 

Nei primi due turni dello slam casalingo, Kyrgios supera brillantemente Sonego in tre set (grande prova dell'italiano, ma è grossa la disparità di talento) e Simon, che riesce a strappargli il terzo set recuperando un break di svantaggio. Prima che le ragnatele del francese possano immobilizzarlo, Kyrgios riesce comunque a liberarsi e fuggire via, non senza aver imitato i tic di Nadal durante un warning per perdita di tempo. Agisce in simbiosi con la Melbourne Arena, il terzo stadio più grande del torneo, il suo preferito: ogni suo match è una bolgia, una rumorosa bomboniera che pare esaltarlo e motivarlo come nessun altro stadio al mondo. Nel frattempo l'Australia sembra non trovare alcun atleta che possa generare una meritata catarsi nazionale. De Minaur, il più accreditato (secondo la classifica), si ritira prima dell'inizio del torneo per un infortunio. Stesso destino, con maggior preavviso, tocca allo sfortunato Kokkinakis. E sopraggiunge anche una maledizione del “quinto set”, in particolare del nuovo tie-break introdotto sul 6 pari, che dura non più sette punti, ma ben dieci. Thompson al secondo turno recupera due set a Fognini, arriva a questo “tie-break” speciale, e perde 10-7. Un destino ancora più greve ammorba Millmann, che nello stesso contesto si ritrova 8-4 contro Federer (col pubblico che esulta al settimo punto, forse non sapevano del nuovo regolamento...) e si ritrova a perdere 10-8, con una sfilza di errori dopo una partita giocata in modo spettacolare. Così, quando Kyrgios domina il primo set contro Kachanov, vince il secondo 7-6, si ritrova un break avanti nel terzo, si fa recuperare, perde il set al tie-break (con match point a favore), perde anche il quarto al tie-break (con secondo match point a favore), la maledizione, con tanto di metaforici corvi gracchianti attorno all'Arena, sembra pronta a colpire di nuovo.

Come lo ha descritto Luca Baldissera, un grande intenditore di cui – in questo caso - condivido appieno il pensiero, Kachanov è una versione “base” di Kyrgios. Più giovane di lui, più in alto di lui in classifica (al momento numero 17), ma comunque una sua copia prodotta in serie. L'originale contro il replicante. Hanno entrambi un grande servizio, un gran dritto, un buon rovescio, ma Kachanov dalla natura è stato privato del talento e dell'estro di Nick, non gli appartengono tocco e variazioni. Tuttavia si allena di più, e quando sta per iniziare il quinto set sembra, tra i due, il più brillante (nonostante venga da una maratona contro Ymer). Kachanov, in questo momento, non sbaglia più. Kyrgios si affida a servizio, accelerazioni e smorzate, entrambi concedono pochi punti nei game di servizio, e si arriva, dopo quattro ore, al tie-break finale. Kyrgios avrebbe già dovuto chiudere questa partita. Più e più volte. E vincere quando ti ritrovi sfavorito, sapendo che lì non saresti dovuto nemmeno arrivare, è forse la situazione più difficile di questo sport – pensate a Federer nella finale di Wimbledon 2019, in cui ha (incredibilmente) perso tre tie-break, intimamente convinto che Djokovic non meritasse nemmeno quel parziale traguardo.

Nel 2019 sì è consolidata, come se avesse preso forma definitiva, almeno agli occhi della gente, l'essenza di Kyrgios. E più o meno stava bene a tutti. Pazzie a iosa: tavoli tirati in mezzo ai campi secondari di Roma, vino bevuto in diretta Instagram (sempre a Roma) la sera prima di lanciare i tavoli, le bottigliate all'arbitro, le birre al pub prima di giocare contro Nadal a Wimbledon (a cui è riuscito “solamente” a strappare un set), provocato verbalmente sia prima che dopo il match (e derisoriamente soprannominato “Ralf”, probabilmente dopo qualche Tennent's di troppo). Un 2019 che ha evidenziato pessimi risultati negli slam, ma anche due bellissimi tornei vinti: Acapulco e Washington (entrambi ATP 500), ottenendo gli scalpi di alcuni tra i più grandi tennisti del mondo, sia più vecchi di lui (Nadal, Wawrinka, Isner), sia più giovani e/o coetanei (Zverev, Tsitsipas, Medvedev). Ha rilanciato la moda del “servizio da sotto”, che ha alimentato un purulento dibattito sulla correttezza o meno del gesto, ed è diventato il quarto tennista più seguito del circuito ATP (potete facilmente indovinare i primi tre). Questo Kygios prevedibile negli alti e bassi, nei gesti folcloristici, nelle provocazioni, ha sostanzialmente accontentato tutti. I detrattori (perché non pericoloso negli slam), gli spettatori occasionali (per la creatività in campo e le follie), perfino i suoi fan (perché, in fondo, due 500 battendo i più forti non sono mica male). Un Kyrgios ecumenico. E, ripetiamo, prevedibile. Ma Kyrgios, prevedibile, non lo sarà mai. E quindi eccolo pronto a lottare per la vittoria, a desiderarla, ad anelarla come mai, mai prima nella carriera.

Il tie-break inizia e Nick si porta subito tre a zero, con una delicata e leggiadra demi-volée di dritto (da inginocchiato). Kachanov tiene facilmente le due successive battute, e pareggia i conti grazie a un rovescio incrociato di poco largo da parte di Kyrgios, che altrimenti avrebbe realizzato l'ennesimo vincente. Il punto successivo è indicativo della situazione: Kachanov risponde bene, muove Kyrgios con colpi potenti a destra e sinistra, finché l'australiano non è così lontano e spossato da non raggiungere più la palla. Tuttavia, con uno scambio lungo, uno straordinario dritto incrociato, e un successivo contropiede verso la stessa zona di campo, Nick si issa sul quattro pari. Senza più mini-break, e con tanti vincenti, si arriva al 7 pari: la qualità del tennis, nonostante le quattro ore (abbondanti) di gioco, è elevatissima. Qui arriva una spallata potenzialmente definitiva, da parte di quello che sta meglio. Kyrgios serve, Kachanov riesce a entrare nello scambio, e di nuovo inizia a spostarlo, fino a mandarlo qualche metro fuori dal campo con un dritto potente e incrociato, che Nick prova a trasformare in un vincente lungolinea, che però impatta la rete. 8-7 Kachanov e servizio. Può chiudere la partita: a Kyrgios, stremato, serve qualcosa di speciale. Il russo mette una buona prima, Nick risponde profondo, ma non abbastanza da prendere il comando: tuttavia Kachanov, pur tirando forte, pare leggermente timoroso: i colpi sono forti, ma non ha l'ardire di spedire l'australiano negli angoli, quasi sperasse di ricevere un errore gratuito. A Kyrgios il coraggio non manca di certo, e infatti, accorgendosi dell'attendismo di Kachanov, indirizza un dritto – alto e ricco di topspin – verso il rovescio del suo avversario che, a quel punto, è costretto ad incrociare: Nick ci arriva bene, prepara il colpo, e scaglia un razzo a due mani, piatto, furente, dall'alto al basso, che atterra nell'angolino più lontano, dove Karen non può arrivare. La Melbourne Area si alza in piedi in un boato. Sono quei punti “speciali”, appunto. Kyrgios si è elevato nel momento più importante, e quando un atleta fa così, per tenergli testa, devi tentare di imitarlo: Kachanov ci prova nello scambio successivo, però il uso rovescio lungolinea, al contrario di quello precedente, si affloscia sulla rete. È il terzo match point, arriva quasi due ore dopo il primo, e stavolta Kyrgios può giocarlo al servizio. La prima esterna è potente e precisa, ma Kachanov risponde profondo: l'australiano è lento a spostarsi, ma riesce comunque a fare due passi indietro e, dove non arrivano le gambe, riesce il braccio: arretrando produce un difficile dritto di controbalzo, a uscire, dove Kachanov arriva male, forse perché sorpreso. Tira fuori il rovescio successivo, e Kyrgios cade a terra, con gambe e braccia spalancate. Chiude gli occhi, e si gode il festante tumulto dei suoi connazionali.

Ha battuto tutti i più forti, eppure questa non solo è stata la partita più lunga della sua vista, ma – finora – anche la più bella: per come è arrivata, per dove è arrivata, per quanto l'ha desiderata, per sé stesso e per gli australiani che, attraverso questo match, hanno trovato quel barlume di gioia che tanto desideravano da questo torneo. In centinaia seguivano l'incontro da una spiaggia poco lontana dall'Arena, una scena felliniana, proprio in occasione del suo primo secolo: si sono alzati in piedi, urlando e applaudendo: non male per uno che, a dicembre, era lo sportivo più odiato della nazione. Lunedì Kyrgios troverà Nadal, di nuovo in un ottavo di finale, sei anni dopo il match che lo ha rivelato al mondo. Ma in un certo senso, e solo in questo caso, forse la storia potrebbe concludersi bene anche così.





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