Nell'ultimo mese gli incendi hanno
devastato l'Australia, ardendo un quantitativo di alberi
difficilmente immaginabile, superiore – a quanto pare – ai roghi
di Amazzonia e Siberia (2019) messi assieme. Sembra addirittura che
esista una pianta endogena, una sorta di fenice vegetale, che sia
altamente infiammabile, e allo stesso tempo contenga dei semi
ignifughi: in pratica, prospera attraverso gli incendi. Sarebbero
morti un miliardo di animali. L'aria di Canberra, città natale di
Kyrgios, in questo periodo è risultata la più inquinata del pianeta
terra. A dicembre 2019 Nick è stato votato dai suoi connazionali come secondo atleta più odiato del decennio: a superarlo il solo Oscar
Pistorius, che è riuscito nell'impresa ammazzando a fucilate
l'ex-fidanzata, scambiata (secondo lui) per un ladro. Le bravate di
Kyrgios, al suo confronto, niente hanno potuto. Nick viene da una
molta record di (circa) 150.000 dollari, ricevuta a Cincinnati, che
ha generato anche una sospensione di sei mesi, sospensione a sua
volta sospesa, in attesa che Kyrgios (eventualmente) si ricomporti
male durante le prossime venti settimane. La pena è stata elargita
perché Nick ha tirato una bottiglia contro lo scranno dell'arbitro
(“mi è sfuggita di mano”), ed è andato a spaccare due racchette
in un corridoio durante il toilet break (che non ha contemplato alcun
“toilet”) alla fine del secondo set, sull'1-1. Mentalmente non
sarebbe più rientrato in campo, e avrebbe perso facilmente quella
partita. Il suo avversario era Karen Kachanov. Lo stesso che ha
sfidato al terzo turno degli Australian Open 2020.
Kyrgios, esausto, mai così felice di aver vinto una partita di tennis. |
Mosso dalla drammatica situazione,
Kyrgios, in procinto di partecipare all'ATP Cup, annuncia
l'intenzione di donare 200 dollari per ogni ace scagliato durante
l'estate australiana; impiega poco tempo a racimolare seguaci.
Innanzitutto la federazione nazionale, che decide anch'essa di
elargire 100 euro per ogni ace di Kyrgios, e in più, assieme a lui,
organizza un evento benefico con Federer, Nadal e altre celebrità,
appena prima dell'inizio degli Australian Open. Tutti i suoi
connazionali seguono l'iniziativa, compreso De Minaur, che proprio
assieme a Kyrgios riesce a portare l'Australia alle semifinali
dell'ATP Cup, dove viene fermata dalla Spagna: per questioni di
ranking, in quell'occasione, non è possibile assistere alla sfida
che tutti vorrebbero: Kyrgios-Nadal. La coppa e l'iniziativa benefica
comunque rilanciano, almeno parzialmente, l'immagine di Nick in terra
australe (anche grazie alla splendida vittoria contro Tsitsipas,
recente vincitore delle ATP Finals). C'è la sensazione che sia
davvero intenzionato a prendere seriamente il tennis, almeno per una
volta. Che voglia regalare un po' di gioia alla sua terra devastata.
Nei primi due turni dello slam casalingo, Kyrgios supera
brillantemente Sonego in tre set (grande prova dell'italiano, ma è
grossa la disparità di talento) e Simon, che riesce a strappargli il
terzo set recuperando un break di svantaggio. Prima che le ragnatele
del francese possano immobilizzarlo, Kyrgios riesce comunque a
liberarsi e fuggire via, non senza aver imitato i tic di Nadal
durante un warning per perdita di tempo. Agisce in simbiosi con la
Melbourne Arena, il terzo stadio più grande del torneo, il suo
preferito: ogni suo match è una bolgia, una rumorosa bomboniera che
pare esaltarlo e motivarlo come nessun altro stadio al mondo. Nel
frattempo l'Australia sembra non trovare alcun atleta che possa
generare una meritata catarsi nazionale. De Minaur, il più
accreditato (secondo la classifica), si ritira prima dell'inizio del
torneo per un infortunio. Stesso destino, con maggior preavviso,
tocca allo sfortunato Kokkinakis. E sopraggiunge anche una
maledizione del “quinto set”, in particolare del nuovo tie-break
introdotto sul 6 pari, che dura non più sette punti, ma ben dieci.
Thompson al secondo turno recupera due set a Fognini, arriva a questo
“tie-break” speciale, e perde 10-7. Un destino ancora più greve
ammorba Millmann, che nello stesso contesto si ritrova 8-4 contro
Federer (col pubblico che esulta al settimo punto, forse non sapevano
del nuovo regolamento...) e si ritrova a perdere 10-8, con una sfilza
di errori dopo una partita giocata in modo spettacolare. Così,
quando Kyrgios domina il primo set contro Kachanov, vince il secondo
7-6, si ritrova un break avanti nel terzo, si fa recuperare, perde il
set al tie-break (con match point a favore), perde anche il quarto al
tie-break (con secondo match point a favore), la maledizione, con
tanto di metaforici corvi gracchianti attorno all'Arena, sembra
pronta a colpire di nuovo.
Come lo ha descritto Luca Baldissera,
un grande intenditore di cui – in questo caso - condivido appieno
il pensiero, Kachanov è una versione “base” di Kyrgios. Più
giovane di lui, più in alto di lui in classifica (al momento numero
17), ma comunque una sua copia prodotta in serie. L'originale contro
il replicante. Hanno entrambi un grande servizio, un gran dritto, un
buon rovescio, ma Kachanov dalla natura è stato privato del talento
e dell'estro di Nick, non gli appartengono tocco e variazioni.
Tuttavia si allena di più, e quando sta per iniziare il quinto set
sembra, tra i due, il più brillante (nonostante venga da una
maratona contro Ymer). Kachanov, in questo momento, non sbaglia più.
Kyrgios si affida a servizio, accelerazioni e smorzate, entrambi
concedono pochi punti nei game di servizio, e si arriva, dopo quattro
ore, al tie-break finale. Kyrgios avrebbe già dovuto chiudere questa
partita. Più e più volte. E vincere quando ti ritrovi sfavorito,
sapendo che lì non saresti dovuto nemmeno arrivare, è forse la
situazione più difficile di questo sport – pensate a Federer nella
finale di Wimbledon 2019, in cui ha (incredibilmente) perso tre
tie-break, intimamente convinto che Djokovic non meritasse nemmeno
quel parziale traguardo.
Nel 2019 sì è consolidata, come se
avesse preso forma definitiva, almeno agli occhi della gente,
l'essenza di Kyrgios. E più o meno stava bene a tutti. Pazzie a
iosa: tavoli tirati in mezzo ai campi secondari di Roma, vino bevuto
in diretta Instagram (sempre a Roma) la sera prima di lanciare i
tavoli, le bottigliate all'arbitro, le birre al pub prima di giocare
contro Nadal a Wimbledon (a cui è riuscito “solamente” a
strappare un set), provocato verbalmente sia prima che dopo il match
(e derisoriamente soprannominato “Ralf”, probabilmente dopo
qualche Tennent's di troppo). Un 2019 che ha evidenziato pessimi
risultati negli slam, ma anche due bellissimi tornei vinti: Acapulco
e Washington (entrambi ATP 500), ottenendo gli scalpi di alcuni tra i
più grandi tennisti del mondo, sia più vecchi di lui (Nadal,
Wawrinka, Isner), sia più giovani e/o coetanei (Zverev, Tsitsipas,
Medvedev). Ha rilanciato la moda del “servizio da sotto”, che ha
alimentato un purulento dibattito sulla correttezza o meno del gesto,
ed è diventato il quarto tennista più seguito del circuito ATP
(potete facilmente indovinare i primi tre). Questo Kygios prevedibile
negli alti e bassi, nei gesti folcloristici, nelle provocazioni, ha
sostanzialmente accontentato tutti. I detrattori (perché non
pericoloso negli slam), gli spettatori occasionali (per la creatività
in campo e le follie), perfino i suoi fan (perché, in fondo, due 500
battendo i più forti non sono mica male). Un Kyrgios ecumenico. E,
ripetiamo, prevedibile. Ma Kyrgios, prevedibile, non lo sarà mai. E
quindi eccolo pronto a lottare per la vittoria, a desiderarla, ad
anelarla come mai, mai prima nella carriera.
Il tie-break inizia e Nick si porta
subito tre a zero, con una delicata e leggiadra demi-volée di dritto
(da inginocchiato). Kachanov tiene facilmente le due successive
battute, e pareggia i conti grazie a un rovescio incrociato di poco
largo da parte di Kyrgios, che altrimenti avrebbe realizzato
l'ennesimo vincente. Il punto successivo è indicativo della
situazione: Kachanov risponde bene, muove Kyrgios con colpi potenti a
destra e sinistra, finché l'australiano non è così lontano e
spossato da non raggiungere più la palla. Tuttavia, con uno scambio
lungo, uno straordinario dritto incrociato, e un successivo
contropiede verso la stessa zona di campo, Nick si issa sul quattro
pari. Senza più mini-break, e con tanti vincenti, si arriva al 7
pari: la qualità del tennis, nonostante le quattro ore (abbondanti)
di gioco, è elevatissima. Qui arriva una spallata potenzialmente
definitiva, da parte di quello che sta meglio. Kyrgios serve,
Kachanov riesce a entrare nello scambio, e di nuovo inizia a
spostarlo, fino a mandarlo qualche metro fuori dal campo con un
dritto potente e incrociato, che Nick prova a trasformare in un
vincente lungolinea, che però impatta la rete. 8-7 Kachanov e
servizio. Può chiudere la partita: a Kyrgios, stremato, serve
qualcosa di speciale. Il russo mette una buona prima, Nick risponde
profondo, ma non abbastanza da prendere il comando: tuttavia
Kachanov, pur tirando forte, pare leggermente timoroso: i colpi sono
forti, ma non ha l'ardire di spedire l'australiano negli angoli,
quasi sperasse di ricevere un errore gratuito. A Kyrgios il coraggio
non manca di certo, e infatti, accorgendosi dell'attendismo di
Kachanov, indirizza un dritto – alto e ricco di topspin – verso
il rovescio del suo avversario che, a quel punto, è costretto ad
incrociare: Nick ci arriva bene, prepara il colpo, e scaglia un razzo
a due mani, piatto, furente, dall'alto al basso, che atterra
nell'angolino più lontano, dove Karen non può arrivare. La
Melbourne Area si alza in piedi in un boato. Sono quei punti
“speciali”, appunto. Kyrgios si è elevato nel momento più
importante, e quando un atleta fa così, per tenergli testa, devi
tentare di imitarlo: Kachanov ci prova nello scambio successivo, però
il uso rovescio lungolinea, al contrario di quello precedente, si
affloscia sulla rete. È il terzo match point, arriva quasi due ore
dopo il primo, e stavolta Kyrgios può giocarlo al servizio. La prima
esterna è potente e precisa, ma Kachanov risponde profondo:
l'australiano è lento a spostarsi, ma riesce comunque a fare due
passi indietro e, dove non arrivano le gambe, riesce il braccio:
arretrando produce un difficile dritto di controbalzo, a uscire, dove
Kachanov arriva male, forse perché sorpreso. Tira fuori il rovescio
successivo, e Kyrgios cade a terra, con gambe e braccia spalancate.
Chiude gli occhi, e si gode il festante tumulto dei suoi
connazionali.
Ha battuto tutti i più forti, eppure
questa non solo è stata la partita più lunga della sua vista, ma –
finora – anche la più bella: per come è arrivata, per dove è
arrivata, per quanto l'ha desiderata, per sé stesso e per gli
australiani che, attraverso questo match, hanno trovato quel barlume
di gioia che tanto desideravano da questo torneo. In centinaia
seguivano l'incontro da una spiaggia poco lontana dall'Arena, una
scena felliniana, proprio in occasione del suo primo secolo: si sono
alzati in piedi, urlando e applaudendo: non male per uno che, a
dicembre, era lo sportivo più odiato della nazione. Lunedì Kyrgios
troverà Nadal, di nuovo in un ottavo di finale, sei anni dopo il
match che lo ha rivelato al mondo. Ma in un certo senso, e solo in
questo caso, forse la storia potrebbe concludersi bene anche così.
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