Ormai anche i sassi hanno capito che le
maggiori difficoltà del Kyrgios tennista dipendono dalle scarse
motivazioni: dei problemi che vengono spazzati via in due casi –
due casi che non coinvolgono la quotidianità e che non ne
miglioreranno mai gli allenamenti, quindi – e cioè lo scontro con
un campione conclamato, eventualità in cui si sente chiamato in
causa e desideroso di dimostrare il suo valore, nonché la sfida a
squadre, che sia la Coppa Davis o la recente Laver Cup, circostanza
in cui non gioca solo per sé stesso, ma anche per gli altri: e se
deludere sé stessi nella sua mente è accettabile, deludere gli
altri non lo è.
L'inchino cavalleresco prima di affrontare Federer |
Come ho scritto anni fa, Kyrgios non è
un bulletto, ma un capobranco. Due ruoli che in certi casi potrebbero
sembrare sovrapponibili, ma che non sempre lo sono. Kyrgios non
doveva nemmeno partecipare alla prima edizione della Laver Cup, un
torneo d'esibizione organizzato e plasmato da Federer, che mette di
fronte i migliori elementi d'Europa contro quelli provenienti dal
“resto del mondo”. Nick ha partecipato solamente grazie
all'inattesa rinuncia di Raonic: non doveva esserci, e invece è
divenuto assoluto protagonista della sua squadra, ha caricato gli
altri atleti ed è anche quello ad aver vinto più incontri (due su
tre). Questa stramba competizione dall'incerto futuro ha dato vita a
tre giorni di tennis d'alto livello, culminato nella sfida decisiva
tra Federer e Kyrgios.
Prevedibilmente, Nick ha giocato bene: del
resto, un simile scontro soddisfa entrambe le condizioni che abbiamo
descritto a inizio articolo. Si è chinato come un cavaliere appena
prima dell'inizio, a rete, come a dire “stavolta si fa sul serio”.
E sul serio si è fatto: un tennis magico dal primo all'ultimo punto,
scambi sensazionali, palle corte, volée: il primo set a Nick, il
secondo a Federer, il terzo (attribuito dopo un tie-break al dieci,
al posto che al sette) ancora al maestro svizzero, che si è imposto
11-9 (i due hanno totalizzato lo stesso numero di punti, 86). Kyrgios
a fine partita si è messo a piangere, a un torneo di esibizione (ma
questo è normale, si è rivelata una sfida inaspettatamente tesa e
sentita), quando quest'anno, almeno nei tornei dello slam, è stato
alquanto indisponente e disinteressato (e questo è meno normale). Il
“Resto del Mondo” è stato guidato da McEnroe, che per Kyrgios ha
stima immensa, e col quale si scambia frecciate da mesi (“McEnroe
ha detto che vorrebbe allenarmi? Se lo sogna”). Invece, com'era
presagibile, si sono trovati alla grande. Nick ha ammesso che il
campione americano lo capisce come pochi altri: “non mi sembrava un
tipo da giocare a tennis, così gli ho chiesto: 'perché giocavi?' E
lui mi ha detto: 'per lo stesso motivo per cui giochi tu: perché era
la cosa che sapevo fare meglio”.
Non c'è dubbio: Kyrgios è alla
ricerca di sé stesso, alla ricerca di quel compromesso tra allenamento e libertà
che potrebbe consentirgli di disputare una grande stagione. Una cosa
è certa: giocando in quel modo contro Federer, Kyrgios ha evidenziato ancora una volta quanto sarebbe bello averlo sempre ad alti livelli e, sicuramente, si
è anche procurato tanti nuovi fan. Il movimento tennistico ha fatto il possibile
per dimostrargli il proprio affetto: quattro generazioni di campioni
(passati, presenti e futuri), lo hanno fatto sentire importante. Rod
Laver ha detto che è il più grande talento in circolazione; McEnroe
lo ha scelto per giocare la partita decisiva, e non ha mai lesinato
complimenti; Federer e Nadal lo stimano come rivale (e non c'è
omaggio più grande); i suoi compagni coetanei lo hanno trattato da
leader, e Zverev (che era nella fazione opposta) lo considera un suo
pari. Il mondo del tennis ha fatto capire a Kyrgios, in modo
trasparente, quanto lo stimi: speriamo che l'australiano ricambi il
sentimento, e presto. Perché, nonostante la dichiarazione d'amore,
il tennis sopravviverà anche senza di lui.
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