Eccolo lì Nick, prende la pallina,
piega il braccio armato chinandosi verso il terreno, guarda Nadal e
dunque il cielo, l'altra mano ormai fissa alla volta celeste e la
sferetta già posta là, esattamente là dove la racchetta sta per
coglierla con inaudita violenza: non mentre sale, non mentre scende,
ma in quell'attimo eternante di stasi. D'un tratto il corpo esteso si
raccoglie incartato, la pallina già sulla riga, già oltre Rafael
Nadal. Questo avviene sul campo centrale di Wimbledon, è pomeriggio,
il sole inizia a bollire i due tennisti. Ne avranno per molto.
L'africanoide bendaggio elastico di Kyrgios nella partita contro Nadal |
Nick
la Giraffa ha appena iniziato la sua corsa verso il Mostro. Vigoroso
si lancia nel bitume, incurante della sozzura e dell'odore di zolfo,
i fedeli aborigeni colorati lo seguono bramosi di sangue. Schiaccia
spartani come fossero mosche, sconquassa il terreno alzando petrolio:
una dirompente forza della natura. Del Mostro tuttavia non v'è
traccia alcuna, né indicazioni sulla sua residenza: preso dalla foga
forse lui non lo sa, ma ben coscienti ne sono gli osservatori: quello
non è altro che il selciato antistante il Pandemonium. E così
giunge pulito e intatto alla prima cinta muraria, dove ad accoglierlo
sparsi opliti, confusi e forse – forse – stavolta superbi, non
possono far altro che cedere il passo. La barriera è frantumata, e
ulteriore, caldo petrolio fuori ne sgorga. Ma Nick la giraffa è
furioso e spensierato, poco se ne cura, e indomito prosegue la sua
caccia.
Sul centrale è appena finito il primo set, 7-6
Kyrgios, conclusosi con un ace così com'era iniziato. Non si sa cosa
aspettarsi: il ragazzo australiano sembra in forma, e sembra anche
portentoso, ma Nadal ha perso il primo set in ogni partita di
Wimbledon 2014. Alcuni ponderano l'impensabile, altri danno per certo
il solito copione, con Rafael vittorioso 3 set a 1.
Il bitume si fa più opprimente, tutti
lo vedono, non Nick: lui prosegue la sua fuga, la
seconda cinta visibile alla distanza. Non lo spaventa l'appiccicoso
terreno, non ha paura degli spartani, che ora, però, come sempre,
sono guidati da un generale. Più organizzati e spietati, iniziano a
sterminare gli aborigeni sulle retrovie: Nick il coraggioso, Nick
infuriato non se ne accorge, e quando si volta e scorge il sangue è
tardi, la sua armata già duramente colpita: pure le zampe sono
imbrattate di petrolio, e il mefitico odore l'ha contagiato. Temendo
forse per la prima volta per l'esito della spedizione, la Giraffa non
perde la calma e, con colpo di genio, piuttosto che salvare le
retrovie, piomba sopra le armate poste dinnanzi: le dilania, e nel
trionfo salta, salta con occhi infuocati fino a vedere oltre le mura,
verso il centro inabissato della palude negra: una profonda cavità
tra la melma si rivela. Là deve andare. Il Mostro è stupito dalla
mossa. Lo scontro, ora lo sanno entrambi, sarà ancora lungo.
Il secondo set è combattuto, Nadal
prevedibilmente rialza la testa, ma in un game già perso, sotto
40-0, Kyrgios compie l'impossibile, che riduttivo sarebbe definire
irriverente: su un violento dritto liftato, diretto a mo' di
siluro contro i piedi australiani, Nick pone leggero la racchetta tra
le gambe, e d'incanto la pallina torna dall'altra parte del campo, ci
torna senza sforzo, ci torna spiazzando Nadal. Punto. Il punto
dell'anno. Kyrgios ha l'ardire di esultare con braccia alzate al
cielo; non sa, probabilmente, chi (o cosa) sta provocando. Rafael,
dall'altra parte della rete, fissa il terreno e, spietato, medita
vendetta.
La Giraffa sicura di sé giunge infine alla seconda cinta muraria, più alta della prima e meglio difesa. Saggia la pietra e sferra qualche colpo, sbatte le zampe e gli aborigeni scagliano delle frecce, ma il contatto è solo accennato, l'avanzata presto respinta: degli opliti le legano le zampe posteriori, e la Giraffa cade a terra inerme, immersa nel cieco bitume. Imbrigliato e trasportato via dalla nera corrente, Nick si ritrova, stavolta sporco e con poche, spaventate truppe superstiti, sopra le macerie della prima cinta. Si rialza a fatica aiutato dai suoi guerrieri, ma ora non gli rimangono che furia e speranza. Il piano di guerra non c'è mai stato, e non si può inventare ora, perciò decide di proseguire la corsa, a costo di perire; dall'altra parte, per la prima volta, gli spartani avanzano. In lontananza s'ode l'eco d'un urlo scimmiesco, il trambusto dei pugni esultanti contro il petto. È qui cari amici, proprio qui che il Maestro ateniese, Roger Federer, troppe volte ha perso la ragione, la fede, la fiducia in sé stesso. Quando pareva prossimo alla vittoria e si è ritrovato al punto di partenza, sporco, contaminato da un'essenza che non sopporta, non concepisce, si rifiuta di scrutare. E tante volte è fuggito, volato via, lasciando le sue truppe alle mercé della cruda violenza nemica. La Giraffa lo sa, perché è cresciuta ammirando il Grifone svizzero. Non intende ripetere i suoi errori.
La Giraffa sicura di sé giunge infine alla seconda cinta muraria, più alta della prima e meglio difesa. Saggia la pietra e sferra qualche colpo, sbatte le zampe e gli aborigeni scagliano delle frecce, ma il contatto è solo accennato, l'avanzata presto respinta: degli opliti le legano le zampe posteriori, e la Giraffa cade a terra inerme, immersa nel cieco bitume. Imbrigliato e trasportato via dalla nera corrente, Nick si ritrova, stavolta sporco e con poche, spaventate truppe superstiti, sopra le macerie della prima cinta. Si rialza a fatica aiutato dai suoi guerrieri, ma ora non gli rimangono che furia e speranza. Il piano di guerra non c'è mai stato, e non si può inventare ora, perciò decide di proseguire la corsa, a costo di perire; dall'altra parte, per la prima volta, gli spartani avanzano. In lontananza s'ode l'eco d'un urlo scimmiesco, il trambusto dei pugni esultanti contro il petto. È qui cari amici, proprio qui che il Maestro ateniese, Roger Federer, troppe volte ha perso la ragione, la fede, la fiducia in sé stesso. Quando pareva prossimo alla vittoria e si è ritrovato al punto di partenza, sporco, contaminato da un'essenza che non sopporta, non concepisce, si rifiuta di scrutare. E tante volte è fuggito, volato via, lasciando le sue truppe alle mercé della cruda violenza nemica. La Giraffa lo sa, perché è cresciuta ammirando il Grifone svizzero. Non intende ripetere i suoi errori.
Il terzo set inizia, si ricomincia
da 1-1. L'esito della partita pare ormai scontato: ignoti il quando e il come, ma in pochi sono rimasti a credere alla sconfitta di Nadal.
Troppe volte si è assistito a una storia del genere per pensare che stavolta possa finire diversamente. E in effetti il tracollo parrebbe
avvicinarsi: i game di Kyrgios sono sempre combattuti. Tuttavia il
giovane riesce a salvarsi grazie a portentosi servizi, ritardando la
propria esecuzione. Senza lasciarsi pervadere dall'ira, inanellando
un ace dopo l'altro, si arrampica fino al tie-break. 6-6.
La battaglia infuria ancora sotto la seconda cinta muraria, nuovamente
raggiunta. Il cruore divampa. Da lontano è puro caos, immersi
nell'oscurità non si distinguono i due eserciti, avvinghiati tra
urla strazianti. Fin quando s'erge monumentale la Giraffa: si
sbarazza del petrolio con una scrollata, e con tutto il peso si getta
disperata contro le mura: dapprima un crepitio, poi fragoroso il
frastuono della rovina. La barriera è caduta, gli spartani sepolti
sotto la pietra. Il silenzio domina ora la palude, arcobaleno dopo la
tempesta. Con piccoli, insicuri movimenti la sporca Giraffa si
rimette in piedi a fatica: è provata, ma ancora energica. E trema
scaldata dal fuoco del trionfo. Una breve ricognizione la porta a
raggruppare le poche decine di aborigeni rimasti. Nessun altro essere
vivente in vista. La preda è vicina. La caccia, pensa la Giraffa,
sta per terminare.
Al tie-break è 6-5 Kyrgios, servizio
Nadal. L'iberico opta per un servizio esterno, ma è poco profondo:
Nick ha il tempo di spostarsi sul dritto e gettare sé stesso contro
la pallina: ne esce una cannonata di dritto incrociata, fortissima ma
poco lontana dai pieni di Nadal, che riesce con un riflesso
prodigioso a chinarsi e allungare il proprio stentoreo rovescio
contro il tiro, tanto da respingerlo con traiettoria quasi perfetta
verso il terreno opposto: la linea però è solo sfiorata. 2-1
Kyrgios. Quando riprende il quarto set, Rafael è stanco e quasi
rassegnato, Nick ancora vulcanico. Ora si aspetta l'inattesa
sentenza.
La Giraffa avanza con calma, scendendo
nella palude a imbuto verso il centro del male, verso il Mostro che
in pochissimi hanno incontrato di persona. L'ubicazione è ormai
chiara, ma non c'è fretta. Nessuna truppa v'è più a separare Nick
dallo scontro finale, e lui ha ancora con sé degli esaltati
aborigeni. Lo ctonio olezzo aumenta appropinquandosi al Mostro. E
dopo qualche minuto ancora, eccolo, il putrido nucleo di Nadal:
la Giraffa alza lo sguardo per l'ultima volta, e decine di metri
sopra di lei avvista la seconda barriera frantumata poc'anzi; è
stato un lungo cammino, pensa. Il terreno finalmente è pianeggiante,
al suolo non più bitume ma semplice terriccio, tracce di zoccoli in
ogni dove. Il fetore opprimente, gli occhi che fatalmente cadono
sull'unica cosa ancora animata. È Belva di cui si farebbe meglio a
non parlare, che solo i degni spettatori dovrebbero osservare: ma
noi, riparati dietro la Giraffa, possiamo gettarle un fugace sguardo:
un minotauro, fetido e peloso e nero, un'oscurità squarciata dai
soli, feroci occhi tinti di sangue. Ma osando fissarlo qualche
secondo ancora, capiamo che non è un autentico minotauro: ha sì le
gambe del toro, ma il torace e il viso sono di un gorilla. Iracondo e
spietato. Apre la bocca e ne escono parole incomprensibili, scatena
il terrore perché solo quello gli è rimasto; noi comunque notiamo
soprattutto le enormi zanne ancora zuppe d'umano pasto, e preferiamo
lasciare la gloria alla Giraffa. Che, al contrario nostro, non si fa
intimorire: forte della superiorità ingaggia un corpo a corpo contro
il Mostro, e con l'ausilio degli aborigeni colpisce e stordisce la
Belva, che barcolla e morde e sbava ma non ne ha più, non ne ha
semplicemente più. Lo Scimmiotauro è a terra a braccia aperte, la
Giraffa non si fa impietosire: cala per l'ultima volta con tutto il
suo impeto contro il petto dell'infernal creatura, e ne arresta il
respiro. Sporco e corrotto dalla palude l'alto animale è sfinito. Ma
gioisce. Ha trionfato.
Issatosi sul 3-1 con un break conquistato brillantemente, Kyrgios si rivela al mondo del tennis
sconfiggendo Nadal per 6-3 (quarto set). Il punto finale è l'ultimo
ace di una serie sconfinata, ognuno scagliato con apparente
leggerezza. Nei giorni successivi i giornalisti avrebbero indagato su
ogni aspetto di Nick, dalla vita privata ai record finora frantumati
– e non sono pochi. Io mi sono limitato ad adorarlo.
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