Una tennistica menzogna viene
perpetrata senza vergogna dai giornalisti del globo intero, e cioè
la presunta dualità tecnico-psicologica degli incontri. A questa asserzione sommate il luogo
comune che inquadra questo sport come il più dispendioso dal “punto di
vista mentale” - concetto semplice ma arduo da contraddire, in effetti – e la derivante convinzione dello spettatore medio è che
si giochi una partita contemporaneamente su due piani distinti,
quello materiale e quello astratto. Può essere una dicotomia utile
per approcciarsi al tennis, funzionale a seguirlo, ma è a dir poco
riduttiva per descriverlo e narrarlo per come è. Del resto,
se la concezione dominante del pubblico è quella appena detta, di
certo non lo è anche la percezione dell'evento: a chiunque abbia
visto più di dieci partite penso sia chiaro che su quel campo si
scatenino forze devastanti, e che ci sia in gioco molto più che una
vittoria: un top-100 si batte palesando il
proprio passato, il proprio credo e, in generale, la propria stessa
identità. Perché se è vero che il “livello mentale” conta
anche nelle partite all'oratorio, in cui i giocatori sono
concentrarti sul tennis solo ed esclusivamente durante quei novanta
minuti, per un atleta come Nadal perdere equivale ad annichilirsi. A
fallire nella vita. A essere spaghettificato da un buco nero. Qualche
giorno fa ha dichiarato che per lui “c'è molto altro dopo il
tennis”, ma stava evidentemente mentendo. Ho preso Rafael come
esempio perché, a mio parere, è quello che più di tutti, almeno in
tempi recenti, ha fatto coincidere la propria vita - intesa come
obbiettivi, soddisfazioni e investimento temporale - col proprio
tennis. Ma, al di là della concatenazione tra le forze sprigionate
durante una partita (ci arriveremo tra poco) la grande menzogna
citata inizialmente si rivela tale perché i due piani tecnico-mentali
non possono, e non potranno mai, essere scissi. Ogni backspin è una
tacita frase sibillina, ogni topspin profondo è una provocazione, un
“come on” piazzato per andare a palla break vale tre colpi
vincenti, una serie di recuperi stoici – vadano o non vadano a buon
fine – dichiarano stentorea resistenza. Quando delle corde
accarezzano una pallina le trasferiscono la vita del tennista, il suo
gioco, le sue attuali intenzioni e il momentaneo stato mentale:
mentre la sfera transita per aria si porta appresso un ecosistema di
sensazioni e provocazioni, a cui l'altro atleta è chiamato a
rispondere - mettendosi egualmente a nudo.
mercoledì 20 agosto 2014
lunedì 11 agosto 2014
Osservando la luce divina, o forse un semplice neon.
Il tempo a mia disposizione è scarso, e dedicarmi alla scrittura di
un blog tematico non era, e non è, un'ottima idea. In effetti non so per
quanto durerà, né con quale frequenza verrà aggiornato. Molto
semplicemente, ho avvertito la necessità di scrivere qualcosa sullo
sport; non qualcosa in generale ma, come facilmente si può intuire dal
titolo del sito, qualcosa riguardante Nick Kyrgios. Per parlarne
nel dettaglio, a livello tecnico e non, sempre che questo diario prenda vita e forma, ci sarà
tempo. Al momento mi interessa illustrare i principali motivi per
cui ho intrapreso quest'avventura, che di prospettive utili, a
livello monetario e lavorativo, ne ha
veramente poche. Anzi, non ne ha affatto.
Nick Kyrgios a quattro anni, paffuto e deciso: una foto che vale più di un intero libro motivazionale. |
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