mercoledì 12 ottobre 2016

Come On Die Young

Non doveste conoscerlo, Come on die young è un gran bel disco dei Mogwai. Il titolo ironizza su quanto sia datato e vetusto il concetto romantico della morte precoce tipico delle rockstar, una scelta perfetta per una band dichiaratamente post-rock. Come sappiamo Nick Kyrgios ama il rap, e probabilmente non ha mai sentito parlare dei Mogwai. Sappiamo anche che, dopo essere stato eliminato a Wimbledon 2016, ha detto di odiare il tennis, ma di non sapere che altro fare nella vita. Sappiamo che alla vigilia degli US Open 2016 ha annunciato di non volere giocare oltre i ventisette anni (un po', appunto, in linea con la triade Jim Morrison/Janis Joplin/Jimi Hendrix, nonché con gli epigoni tardivi Kurt Cobain e, se ci è permesso, Amy Winehouse). Sappiamo che, stando alle sue dichiarazioni, avesse trionfato a Flushing Meadows non sarebbe più tornato su un campo da tennis. Sappiamo infine che, dopo Marsiglia, ha vinto pure l'ATP (sempre 250) di Atlanta. Quindi, dove sta la verità?

Kyrgios fomenta la folla a Tokyo, dove tra bordate e tweener vince il suo primo ATP 500.
72 ore dopo va in Cina e decide che vuol tornare in Australia.


Come abbiamo ripetuto più volte, Kyrgios da tempo ormai, più che un individuo, è una carcassa di frammenti di talento tenuti insieme con lo scotch, e comandati da una testa geniale che vorrebbe essere altrove. Dei presupposti difficili perché il tutto torni Uno e si dimostri un campione. Tuttavia una delle poche dichiarazioni veritiere, non impulsive né arroganti né catastrofiste che ha fatto, è proprio quella citata in precedenza: “non amo il tennis, ma non saprei che altro fare”. La situazione è esattamente questa: preferirebbe essere altrove, ma qui è forte. Qui è Kyrgios, e lo sa anche a lui: e, checché ne dica, a lui piacciono i riflettori e gli piace vincere. Per questo il 2016 è stato l'anno che ha certificato la sua instabilità. Da un lato non vuole giocare oltre i ventisette anni, dall'altro esce distrutto da Wimbledon. Si lamenta in campo e dichiara di odiare il tennis, ma – dopo essere uscito per infortunio al terzo turno degli US Open – assume, finalmente, un fitness coach (Martin Skinner). Un preparatore che pare sia rimasto scandalizzato dalle sue condizioni: Kyrgios ha ammesso – con una certa protervia, in effetti - di non essersi sostanzialmente allenato (in palestra) nell'ultimo anno e mezzo, e nonostante questo è arrivato al numero 14 del ranking, e al numero 12 – attualmente – nella race annuale.


“Non voglio giocare così a lungo, ma non voglio nemmeno infortunarmi”. Questa è la sua essenza, anno domini 2016. Lo stesso McEnroe – cioè, parliamo di McEnroe, superbrat – in telecronaca ha esclamato che “deve decidere se vuol fare il giocatore di tennis professionista o no”. E John, nonostante alleni Raonic, ama il ragazzone di Canberra (come ha più volte ammesso, del resto). Kyrgios dopo aver assunto Martin Skinner ha vinto il suo primo torneo ATP 500, a Tokyo, battendo tra gli altri Monfils e Goffin; un ottimo risultato per un ventunenne. Poche ore fa invece, e a pochi giorni dal trionfo nipponico, ha salutato Shangai (un Master 1000) perdendo da Zverev (quello grande, quello più scarso) in due set netti, rifiutandosi di giocare, con un atteggiamento in campo anodino e tiri al limite dell'idiozia. Alla fine del primo parziale ha battuto una seconda di servizio a rilento, per poi allontanarsi dal campo prima che arrivasse la risposta dell'avversario: non fosse un conclamato ciclotimico (nel tennis, almeno) ci sarebbe da indagare in ottica scommesse.


“Il pubblico può fare quello che vuole, non sanno cosa significhi essere un tennista, altrimenti sarebbero qui al posto mio. Ero stanco fisicamente e mentalmente” - queste, più o meno, le parole dopo aver perso contro Zverev. Il giorno prima aveva battuto Querrey, giustiziere di Djokovic a Wimbledon, e ha definito la vittoria “una partita noiosa”. A fine serata, intendiamo dopo il siparietto grottesco a Shangai, ha chiesto scusa via twitter (“sono meglio di così. Ancora lavori in corso”). Ecco, la situazione è questa. Da una parte ci sono comportamenti, atteggiamenti e cali di tensione imbarazzanti, irrispettosi e difficilmente tollerabili – soprattutto dai suoi tifosi. Dall'altra, in apparente contrasto, Nick Kyrgios è arrivato alla soglia della top ten, ha ventuno anni, ha vinto tre tornei, tra cui un ATP 500, e gioca un tennis pirotecnico. Se la testa afferma il contrario, il campo, senza picchi estemporanei (elemento ancor più notevole) ne decreta l'ascesa. È nella posizione in cui alla sua età un campioncino dovrebbe essere: in rampa di lancio. Fin troppo presto sapremo se il talento permetterà il decollo o l'insofferenza saboterà la partenza.  

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