Non doveste conoscerlo, Come on die
young è un gran bel disco dei Mogwai. Il titolo ironizza su quanto
sia datato e vetusto il concetto romantico della morte precoce tipico
delle rockstar, una scelta perfetta per una band dichiaratamente
post-rock. Come sappiamo Nick Kyrgios ama il rap, e probabilmente non
ha mai sentito parlare dei Mogwai. Sappiamo anche che, dopo essere
stato eliminato a Wimbledon 2016, ha detto di odiare il tennis, ma di
non sapere che altro fare nella vita. Sappiamo che alla vigilia degli
US Open 2016 ha annunciato di non volere giocare oltre i ventisette
anni (un po', appunto, in linea con la triade Jim Morrison/Janis
Joplin/Jimi Hendrix, nonché con gli epigoni tardivi Kurt Cobain e,
se ci è permesso, Amy Winehouse). Sappiamo che, stando alle sue
dichiarazioni, avesse trionfato a Flushing Meadows non sarebbe più
tornato su un campo da tennis. Sappiamo infine che, dopo Marsiglia,
ha vinto pure l'ATP (sempre 250) di Atlanta. Quindi, dove sta la
verità?
Kyrgios fomenta la folla a Tokyo, dove tra bordate e tweener vince il suo primo ATP 500. 72 ore dopo va in Cina e decide che vuol tornare in Australia. |
Come abbiamo ripetuto più volte, Kyrgios da tempo
ormai, più che un individuo, è una carcassa di frammenti di talento
tenuti insieme con lo scotch, e comandati da una testa geniale che
vorrebbe essere altrove. Dei presupposti difficili perché il tutto
torni Uno e si dimostri un campione. Tuttavia una delle poche
dichiarazioni veritiere, non impulsive né arroganti né
catastrofiste che ha fatto, è proprio quella citata in precedenza:
“non amo il tennis, ma non saprei che altro fare”. La situazione
è esattamente questa: preferirebbe essere altrove, ma qui è forte.
Qui è Kyrgios, e lo sa anche a lui: e, checché ne dica, a lui
piacciono i riflettori e gli piace vincere. Per questo il 2016 è
stato l'anno che ha certificato la sua instabilità. Da un lato non
vuole giocare oltre i ventisette anni, dall'altro esce distrutto da
Wimbledon. Si lamenta in campo e dichiara di odiare il tennis, ma –
dopo essere uscito per infortunio al terzo turno degli US Open –
assume, finalmente, un fitness coach (Martin Skinner). Un preparatore
che pare sia rimasto scandalizzato dalle sue condizioni: Kyrgios ha
ammesso – con una certa protervia, in effetti - di non essersi
sostanzialmente allenato (in palestra) nell'ultimo anno e mezzo, e
nonostante questo è arrivato al numero 14 del ranking, e al numero
12 – attualmente – nella race annuale.
“Non voglio giocare così a lungo, ma
non voglio nemmeno infortunarmi”. Questa è la sua essenza, anno
domini 2016. Lo stesso McEnroe – cioè, parliamo di McEnroe,
superbrat – in telecronaca ha esclamato che “deve decidere se
vuol fare il giocatore di tennis professionista o no”. E John,
nonostante alleni Raonic, ama il ragazzone di Canberra (come ha più
volte ammesso, del resto). Kyrgios dopo aver assunto Martin Skinner
ha vinto il suo primo torneo ATP 500, a Tokyo, battendo tra gli altri
Monfils e Goffin; un ottimo risultato per un ventunenne. Poche ore fa
invece, e a pochi giorni dal trionfo nipponico, ha salutato Shangai
(un Master 1000) perdendo da Zverev (quello grande, quello più
scarso) in due set netti, rifiutandosi di giocare, con un
atteggiamento in campo anodino e tiri al limite dell'idiozia. Alla
fine del primo parziale ha battuto una seconda di servizio a rilento,
per poi allontanarsi dal campo prima che arrivasse la risposta
dell'avversario: non fosse un conclamato ciclotimico (nel tennis,
almeno) ci sarebbe da indagare in ottica scommesse.
“Il pubblico può fare quello che
vuole, non sanno cosa significhi essere un tennista, altrimenti
sarebbero qui al posto mio. Ero stanco fisicamente e mentalmente” -
queste, più o meno, le parole dopo aver perso contro Zverev. Il
giorno prima aveva battuto Querrey, giustiziere di Djokovic a
Wimbledon, e ha definito la vittoria “una partita noiosa”. A fine
serata, intendiamo dopo il siparietto grottesco a Shangai, ha chiesto
scusa via twitter (“sono meglio di così. Ancora lavori in corso”).
Ecco, la situazione è questa. Da una parte ci sono comportamenti,
atteggiamenti e cali di tensione imbarazzanti, irrispettosi e
difficilmente tollerabili – soprattutto dai suoi tifosi.
Dall'altra, in apparente contrasto, Nick Kyrgios è arrivato alla
soglia della top ten, ha ventuno anni, ha vinto tre tornei, tra cui
un ATP 500, e gioca un tennis pirotecnico. Se la testa afferma il
contrario, il campo, senza picchi estemporanei (elemento ancor più
notevole) ne decreta l'ascesa. È nella posizione in cui alla sua età
un campioncino dovrebbe essere: in rampa di lancio. Fin troppo presto
sapremo se il talento permetterà il decollo o l'insofferenza
saboterà la partenza.
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